Nel Caucaso non c’è pace
Sale rapidamente la tensione tra Armenia e Azerbaijan: da ieri, si combatte di nuovo nella regione autonoma del Nagorno-Karabakh.
Il conflitto tra le due ex repubbliche sovietiche per il controllo della regione, dichiaratasi indipendente nel 1991 e tuttora priva di riconoscimento internazionale, è scoppiato nel 1992. Dopo aver causato oltre 30 mila vittime e circa un milione di sfollati, il cessate-il-fuoco del 1994 – ottenuto grazie alla mediazione della Russia – non ha impedito continue violazioni della tregua, con scontri armati che si sono ripetuti con regolarità, raggiungendo l’apice nel 2016, con la “guerra d’aprile”. In quell’occasione l’Azerbaijan, che grazie agli introiti del petrolio ha investito cifre sempre più importanti nel proprio budget militare, è riuscito a riappropriarsi di alcune posizioni strategiche, dimostrando la propria superiorità militare.
Appartenenze nazionali e identità religiose si riaffacciano periodicamente sulla scena, soprattutto quando il progresso economico non riesce a migliorare significativamente lo stile di vita delle comunità di riferimento. La condizione di isolamento politico che vive il Nagorno-Karabakh non ne favorisce lo sviluppo ed è inimmaginabile un sostegno esterno che possa incidere.
Gli scontri sono iniziati nella notte, dopo il consueto rimpallo di responsabilità, e attualmente la repubblica separatista ha dichiarato la legge marziale e una mobilitazione su vasta scala di persone di età superiore ai 18 anni. Questa rapida escalation appare estremamente pericolosa: l’Armenia è membro del CSTO (l’alleanza militare guidata dalla Russia), l’Azerbaigian – l’unico attore ad avere interesse alla ripresa delle ostilità – è appoggiato dalla Turchia, che fa parte della NATO. Alla dimensione locale si aggiunge quindi quella internazionale: il Nagorno-Karabakh è infatti l’ennesimo teatro – dopo Siria, Libia e in generale Mediterraneo – nel quale Turchia e Russia sostengono posizioni opposte, attraverso le cosiddette “guerre per procura”, per la prima volta la tensione tra Mosca e Ankara si accende in un’area chiaramente ascrivibile alla sfera d’influenza russa, ma proprio la dimensione internazionale dovrebbe scongiurare l’escalation, visto che Mosca e Ankara non sembra abbiano intenzione di combattersi direttamente.
La preoccupazione della comunità internazionale si è subito palesata con diverse dichiarazioni – dal Ministero degli Esteri russo, alla Farnesina, al Presidente del Consiglio Europeo – tutte facenti appello alle parti per un immediato cessate-il-fuoco e per l’avvio di negoziati che stabilizzino la situazione. Ancora una volta sarebbe l’UE l’unico soggetto politico che potrebbe fare la differenza, perché accettato da entrambi i contendenti: l’ennesima occasione per l’Europa di giocare un ruolo di mediazione e rilanciare una propria politica estera degna di questo nome.
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